Ricordo del martire repubblicano del 1794 Vicenzo Galiani, della sua famiglia e dei suoi parenti di Montoro (Avellino) in memoria di Anna Pia Galiani nel centenario della nascita

In data 3 settembre, in San Pietro di Montoro,
in casa Galiani – Pironti si è svolto un evento in ricordo di mia madre,
che ivi nacque il 22 agosto 1919.
La manifestazione è stata caratterizzata da qualificati interventi.

Il sindaco di Montoro avv. Girolamo Giaquinto ha puntualizzato in particolare la figura di Vincenzo Galiani in relazione alla quale fu organizzata, per iniziativa della Provincia di Avellino, nello stesso luogo e nell’ambito delle manifestazioni culturali “La terra di mezzo” una rappresentazione teatrale con la regia di Franco Cutolo. Essa verteva su un dialogo tra un intellettuale settecentesco e un uomo del popolo: veniva messa in rilievo la distanza culturale tra i dei personaggi; l’intellettuale che tendeva ad operare per il popolo e il popolano incuriosito da questo atteggiamento, permanendo tra i due un abisso non colmato da cui i personaggi uscivano con uguale dignità.
L’assessore alla cultura del comune di Montoro avv. Raffaele Guariniello ha parlato dell’utilità di manifestazioni tendenti a ricordare i personaggi e le idee che hanno gettato, dall’illuminismo in poi, le basi della successiva azione di civiltà. Al suo discorso si è collegata la professoressa Antonella Venezia, presidente del Comitato Irpino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento, che ha messo l’accento sulla manipolazione che si vive attualmente dei valori del nostro Risorgimento, per cui ha auspicato che vengano promosse iniziative di sensibilizzazione.

Il prof.Fernando Basile ha evidenziato l’impostazione culturale propria dell’illuminismo soffermandosi sull’azione di indipendenza economica e politica del Regno di Napoli, messa in essere dagli illuministi con le loro opere sul piano generale e su quello particolare con lo studio e con le ricerche archeologiche, che fecero di Napoli una irrinunziabile meta del gran tour.

In questa sede trascriviamo l’intervento del prof. Nicola Terracciano, presidente del Comitato Irpino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento di Caserta, da cui appare con grande forza l’intensità dei moti di pensiero e degli episodi dei rivoluzionari napoletani del 1794 e 1799.

NICOLA TERRACCIANO, RICORDO DEL MARTIRE REPUBBLICANO DEL 1794 VINCENZO GALIANI, DELLA SUA FAMIGLIA, DEI SUOI PARENTI DI MONTORO (AVELLINO), UNA DELLE PIU’ PATRIOTTICHE FIGURE DEL RISORGIMENTO ITALIANO

Ringrazio le cortesi Persone presenti e in particolare colui che mi ha invitato, il sensibile dott. Raffaele D’Ettorre, che mi ha telefonato nella mattinata del 16 agosto per invitarmi con rara cortesia e stima a tenere un ricordo del Martire del 1794 Vincenzo Galiani e della sua nobile famiglia, avendo letto miei richiami su di essi in un articolo del 14 novembre 2014 dal titolo Martiri ‘repubblicani’ irpini dal 1794 al 1799 sul “Nuovo Monitore Napoletano”, il prezioso periodico online, fondato e diretto dalla più appassionata e competente studiosa della Martire del 1799 Eleonora de Fonseca Pimentel, la dott.ssa Antonella Orefice, autrice della più scientifica biografia su Eleonora, che uscirà a giorni presso la rigorosa casa editrice Salerno di Roma.
Il ringraziamento verso voi tutti è accresciuto, oltre che dalla stima dimostrata verso la mia umile persona, dal fatto che l’invito mi ha permesso di visitare per la prima volta questa terra di Montoro, sacra al Risorgimento italiano nelle famiglie in particolare dei Galiani, dei Pepe e dei Pironti, e di poter tenere proprio qui, in questo sacro ‘Palazzo Galiani Pironti’, il mio essenziale intervento.

L’articolo del 2014 nasceva da due esigenze che sentivo doverose: ricordare ancora una volta la falsità storica del termine “giacobino” applicato all’esperienza rivoluzionaria di fine Settecento, che non ebbe nulla di ‘giacobino’ (inteso come ‘esperimento storico sanguinario e anticristiano’ nel richiamo di Robespierre, del Terrore, del culto della dea Ragione) e richiamare contro le omissioni, le rimozioni anche ufficiali, il contributo che diedero alle vicende rivoluzionarie di fine Settecento fino al Martirio uomini e famiglie irpine, che ebbero proprio in Vincenzo Galiani e nella la sua famiglia l’espressione più alta, nobile, commovente, indimenticabile. Ero recente infatti da una visita al Museo Irpino del Risorgimento di Avellino, tutto centrato, come pure è giusto, sull’esperienza del decennio francese 1806-1815, sulla rivoluzione del 1820-21 (di cui ricorre l’anno prossimo il bicentenario, da ricordare doverosamente), sulle grandi, solenni figure di Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini, Michele Pironti, con l’assenza completa tuttavia di un richiamo, pur minimo, ai Martiri irpini dal 1794 al 1799.

Una delle omissioni più scandalose non solo per Avellino, ma per Napoli, il Mezzogiorno, la Nazione, per me, è ad esempio l’assenza di qualsiasi richiamo ai primi Martiri del Risorgimento italiano, quelli del 1794, a Piazza Municipio a Napoli e nella Chiesa di Santa Brigida, omissione che dobbiamo cercare di colmare (e che la Repubblica Liberaldemocratica Napoletana del 1799 intendeva onorare con una colonna dedicata ‘Alla Libertà’ e ne aveva pubblicato anche una possibile epigrafe proposta da Forges Davanzati, vedi i numeri 11 del 9 marzo e 14 del 23 marzo nel “Monitore Napoletano” di Eleonora de Fonseca Pimentel. (p. 306) Ella colloca le tre vittime innocenti, come vendetta vile e disumana che “i furori di Maria Carolina nell’ottobre 1794 immolarono agli infernali mani di Maria Antonietta” (ghigliottinata a Parigi l’anno prima nello stesso mese, il 16 ottobre 1793).

La colonna di memoria per i tre Martiri conteneva il richiamo anche dei Patrioti caduti per l’instaurazione della Repubblica, per difenderla, per affermarla, come il vescovo di Potenza Serao, che innalzò con le sue mani l’Albero della Libertà e, morendo per atroce mano sanfedista, gridò ‘Viva la Libertà”, unendo così intimamente i martiri dal 1794 a quelli del 1799.

Montoro è nobile anche in questo, nell’avere una lapide per Vincenzo Galiani in una delle sue piazze più importanti.

Avevo scritto nel 2014 e lo richiamo come avvìo del ricordo:

“Il termine “giacobino” (inteso come seguace di Robespierre e del terrore, anticristiano) è di origine cattolico-clericale sanfedista, quindi partigiano e deformante, che capovolge la vera realtà storica.

Come hanno richiamato grandi storici (ad es. Franco Venturi), “giacobino” è un termine falso storicamente, perchè i seguaci di Robespierre (ghigliottinato nel 1794), cioè i ‘giacobini’, erano fuorilegge nella Repubblica del Direttorio ed i Repubblicani francesi e italiani praticarono la più ampia libertà religiosa e rispettarono dovunque il cattolicesimo, promuovendo il suo legame con la libertà e la democrazia (che è valore oggi acquisito nel più avveduto mondo cattolico), ricevendo perciò vaste adesioni ecclesiastiche illuminate, sia del clero secolare che regolare, e molti Martiri del 1799 furono ecclesiastici, a partire dal vescovo di Vico Equense mons. Michele Natale.

Sempre sono da richiamare ed onorare i Martiri Repubblicani Irpini dal 1794 al 1799: Vincenzo Galiani di Montoro impiccato il 18 ottobre 1794 in piazza Castello (attuale Piazza Municipio verso il Maschio Angioino, sepolto poi nella Chiesa di S.Brigida), a 24 anni, tra i primi Martiri del Risorgimento italiano (insieme ad Emanuele De Deo e Vincenzo Vitaliani), Francesco Federici, marchese di Pietrastornina, generale della Repubblica Napoletana impiccato il 23 ottobre 1799 nel Maschio Angioino, Giacinto Galiani, il fratello di Vincenzo, sempre di Montoro, caduto combattendo nel giugno 1799 contro i sanfedisti, Giuseppe Cammarota di Atripalda impiccato il 4 gennaio 1800.

Ho scoperto la grandezza della Famiglia Galiani, che pagò con altre morti e altre sofferenze la propria scelta di libertà, di democrazia, di Repubblica e dovrebbe essere tutta onorata da questa spesso “immemore e ingrata” Repubblica.

Agli inizi della Repubblica, con la reazione sanfedista, la cugina di Vincenzo e Giacinto, Giustina, conobbe la devastazione e il saccheggio della casa, l’assassinio del marito Giosuè Pepe, l’aggressione nei suoi confronti con 17 coltellate, alle quali miracolosamente sopravvisse.

Il vecchio padre e la madre e con gli altri congiunti furono condannati ad andare esuli a Tolone (punizione che equivaleva ad una morte civile).

E si devono ricordare altri due Martiri del 1799: Pirro Giovanni De Luca morto a 38 anni nel carcere di Montefusco il 10 gennaio 1800 e Gaetano Oliviero di Flumeri, avvocato, amico di Pagano, Cirillo, Carafa, del vescovo Natale, che ebbe la casa saccheggiata e la sua persona assassinata, gettata dal balcone e col suo corpo fatto a pezzi. Aveva 39 anni.
Nè si può dimenticare il martirio ad opera dei sanfedisti, che si consumò nel 1799 in Avellino, di uno dei più grandi martiri del Risorgimento molisano, la nobile figura del Repubblicano notaio Libero Serafini di Agnone, al quale la sensibile cittadina altomolisana ha intestato un monumento, una lapide sulla casa natìa, ha dedicato convegni, ha prodotto pubblicazioni ed il “Nuovo Monitore Napoletano” ha ospitato uno scritto ampio e competente dell’amico prof. Remo De Ciocchis, concittadino di Serafini.”

Ho approfondito più analiticamente per il ricordo di questa sera le figure di Vincenzo Galiani e della sua Famiglia (e vi ringrazio ancora una volta per avermi dato questa opportunità), rafforzando quelle mie convinzioni del 2014: ci troviamo di fronte ad uno dei Martiri, ad una delle Famiglie più nobili del Risorgimento Italiano dell’Unità e della Libertà, dell’Italia repubblicana e democratica, degni di stare accanto a quelle ad esempio dei Poerio, dei Cairoli.

E devo dare atto alla nobile cittadina di Montoro di aver mantenuto la memoria dei suoi grandi protagonisti risorgimentali in senso lato, onorando la famiglia Galiani con scuole, con la lapide a Vincenzo Galiani, con l’intestazione di vie, le memorie della famiglia Pironti e con questo stesso palazzo con le sue iniziative.

Le fonti più preziose per me sono risultate, dopo le notizie generali di Pietro Colletta nella sua nota opera Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825 (edita postuma a cura dei suoi amici fiorentini in Svizzera nel 1834), quelle in particolare di Mariano D’Ayala, nei suoi due libri “Vite degl’Italiani benemeriti della Libertà e della Patria uccisi dal carnefice” (edito postumo a Roma a cura dei figli nel 1883) e “Pantheon. Apoteosi dei Martiri”, opera rimasta a lungo inedita, che si riferisce in massima parte a quelli del 1799, ma che inizia con i tre del 1794 e proprio con Vincenzo Galiani. Essa, a lungo cercata e infine ritrovata dalla citata dott.ssa Antonella Orefice fra i manoscritti di D’Ayala presenti presso la Società Napoletana di Storia Patria, è stata edita a Napoli nel 2012.

Essa è sicuramente di Mariano d’Ayala, perché nel profilo del Galiani a pagina 302 delle ‘Vite’ dice “Nell’Apoteosi immaginata per onorare la memoria dei grandi del 1794 e del 1799, primo leggesi il nome di Vincenzo Galiani, soprannominato la ‘Verità’, coll’epigrafe di Lucrezio ““E tenebris tantis tam clarum extollere lumen/ qui primus potuisti…”.

Notizie sono state date da Fausto Nicolini, Aurelio Galiani, che fu promotore nel 1920 della lapide nella piazza qui a San Pietro e fu devoto custode della sua memoria, autore di una storia di Montoro, riedita in seconda edizione dal nipote materno, il dott. Aurelio Pironti. Proprio al dott. Pironti devo alcune preziose notizie analitiche tratte da articoli presenti nel suo sito online www.pirontigaliani.it, relative in particolare ai legami di parentela tra le famiglie Galiani e Pironti e ai nomi di aderenti alla Repubblica Liberaldemocratica Napoletana del 1799 di varie frazioni di Montoro che non conoscevo (tra i quali diversi ecclesiastici, che confermano sperimentalmente l’adesione cattolico-liberale alla Repubblica e la sua natura non ‘giacobina’).

Prezioso è risultato il profilo di Vincenzo Galiani del prof. Silvio De Majo nel ‘Dizionario Biografico degli Italiani’ della Treccani, volume 5, del 1998.

Ma fondamentali e doverosi per l’inquadramento generale del periodo di Galiani sono sempre il richiamo e il riferirsi al più grande e devoto studioso della memoria della Repubblica Napoletana del 1799 e dei suoi antecedenti, Benedetto Croce, che vi dedicò tanti saggi (si pensi a quello su Carlo Lauberg, amico e maestro di Galiani, capo del moto del 1792-1794, come lo fu della Repubblica del 1799, divenendone il Presidente e il fondatore dello stesso ‘Monitore Napoletano, poi redato e diretto sostanzialmente da Eleonora de Fonseca Pimentel), un libro specifico La rivoluzione napoletana del 1799 e curò la mostra del Centenario di essa nel 1899 con Salvatore Di Giacomo e il figlio proprio di D’Ayala, Michelangelo.

Nel citato libro inedito di D’Ayala il titolo analitico con il relativo sottotitolo in latino, è “Apoteosi dei Patrioti. Pantheon Ercolanese dei Cittadini più illustri” con la frase di Orazio “Dopo imprese straordinarie, furono accolti nei templi degli dei”.

Nell’amara, accorata ‘Premessa’ si fa riferimento al tragico destino degli amici Martiri del 1794 e del 1799 ed agli estremi del furore sanfedista (tra cui il numero immenso ed ignoto degli assassinati nelle province, anche per la scientifica distruzione della documentazione borbonica sia per il 1794 che per il 1799), per cui l’unico conforto è riprenderne il ricordo e renderlo immortale attraverso i versi dei grandi autori latini e greci, così come facevano gli antichi per gli eroi.

Nel libro finalmente edito si ricorda come nel mondo antico ad Ercolano si allestiva il Pantheon per i cittadini più illustri e lì si erigevano le loro apoteosi e i loro cenotafi. Si propone quindi di riprendere la pratica per i Patrioti napoletani e si danno le frasi che dovevano essere incise dall’architrave ai lati dei templi, sulla mole quadrata centrale, quasi altare, con bassorilievi e sui cenotafi dei singoli Martiri.

Si riportano alcune di queste iscrizioni “Questi sono i figli di Ercole, o ospiti” (da Euripide), “Un monumento per l’avvenire, una cosa meravigliosa per i mortali.” (da Esiodo), “La libertà, sebbene fosse tardi, volse lo sguardo a me inerte.” (Virgilio), “I nipoti raccoglieranno i tuoi frutti.” (Virgilio) “L’uomo giusto e tenace nei propositi,/ con mente solida, non è sconvolto/ dal furore del popolo sobillato con infami promesse, /né dalla faccia del minaccioso tiranno.” (Orazio), “E’ bello primeggiare tra uomini illustri, /prendersi cura della Patria/ consolare gli afflitti/ astenersi dagli assassini,/ dare tempo per far passare l’ira/, dare la quiete al mondo e la pace al proprio tempo./ Questa è la somma virtù,/ questa la via che porta al cielo.”(Pseudo-Seneca, Ottavia). “Qui vi sono a schiera /quelli che subirono ferite combattendo per la Patria,/ quei casti sacerdoti, mentre scorreva la vita, /quei pii Vati, che dissero cose degne per Febo,/ o quelli che nobilitarono la vita attraverso arti inventate,/ e quelli che si resero degni di essere ricordati, beneficando gli altri.” (Virgilio).

“I cenotafi erano contenuti nei muri e disposti tutti intorno. Ogni eroe defunto aveva inciso sul sarcofago il proprio nome, un epiteto ed un elogio tratto dai più illustri poeti greci e latini.”

IL PRIMO CENOTAFIO (DEI 97) E’ DEDICATO PROPRIO A:
VINCENTIUS GALIANO
VERITAS

“E tenebris tantis tam clarum extollere lumen/ qui primus potuisti…”(Lucrezio, De Rerum Natura, III, vv.1.2).
(Si tratta del terzo elogio di Epicuro, dei quattro presenti nell’opera)

“O tu, che primo in mezzo a tenebre tanto grandi hai potuto solle are una luce cos chiara”

https://www.scuolabook.it/Uploaded/loescher_3313E_preview/loescher_3313E_preview.pdf

Questa frase è ripresa nell’ampio analitico profilo che D’Ayala dedicò a Vincenzo Galiani nelle ‘Vite’. Si tratta di ben otto pagine (pp. 298-305), a segnalare l’importanza del Personaggio e le lunghe ricerche a lui dedicate, nel rimpianto di una vita così prematuramente troncata per ‘il decoro e la libertà della Patria’. Ricorda la sua nascita a San Pietro di Montoro (pur sbagliando la nascita, assegnata al 1771, che De Majo dà esattamente per il “17 marzo 1770”) da genitori “amantissimi e largamente riamati”: Gennaro Galiani, figlio di Liborio e Beatrice Pellecchia e Francesca Saveria Pepe (nobile figura femminile, anche ella di famiglia patriottica montorese di cui parleremo in seguito), figlia di Mauro ed Elena Perreca, nativa di Candela nelle Puglie (i rapporti tra Montoro e le Puglie sono costanti nella famiglia Galiani, dati i legami tra i due rami).

La famiglia Galiani era nel Settecento e tale era rimasta fino all’età di D’Ayala nella seconda metà dell’Ottocento una delle più note dell’Italia meridionale, sia per il censo che superava i 100 mila ducati, sia per l’antichità della stirpe, sia per l’ingegno e la fama dei suoi esponenti. (De Majo parla dell’attività legata alla produzione ed al commercio della lana). E si ricordano Celestino Galiani, nato a Foggia, arcivescovo di Taranto, legato all’Università di Napoli, morto a Napoli nel 1733, dal quale i Galiani di Montoro ereditarono un podere (la Paglieta) di Manfredonia. E Ferdinando Galiani, economista ed uomo di stato, nipote di Celestino, nato a Chieti, figlio di Matteo, gentiluomo, magistrato di Foggia e di Anna Ciaburri di Lucera, provincia della Capitanata, che fu importante nella formazione di Vincenzo e lasciò eredità ai Galiani di Montuoro. Altri famosi Galiani furono il marchese Berardo, commentatore di Vitruvio, Giuseppe, marchese di Longano.

Ma la luce storica più alta e nobile alla casata dei Galiani viene dal Martire Vincenzo “il quale diede giovane la vita per la Libertà della Patria”, nel giudizio di D’Ayala.

Nato in una famiglia così agiata e con tradizioni di animi così colti e fini, Vincenzo fu educato con cura insieme al fratello maggiore (di tre anni) Liborio, ai fratelli minori Luigi, nato nel 1775, che divenne vicario di San Pietro in Corte a Salerno, Pasquale, nato nel 1777, Giacinto, poco dopo (poi Martire del 1799).

I cinque fratelli erano legatissimi tra loro, come lo erano con le loro sette sorelle: Giuseppina, Raffaella, nata nel 1772, Caterina, nata nel 1776, Gabriella, nata nel 1782, Margherita, nata nel 1783, Teresa, nata nel 1786, e Settimia, che era ancora viva, avendo 80 anni, quando D’Ayala fece le sue ricerche.

Vincenzo fu mandato a Napoli a studiare intorno al 1782 ed ebbe come maestri Carlo Lauberg, il futuro Martire del 1799 Conforti, nativo della vicina Calvanico, e amico di casa Galiani, il Giordano per le matematiche e l’altro futuro martire del 1799 Ignazio Falconieri (nato a Monteroni, provincia di Lecce nel 1755, sacerdote, che aveva studiato al seminario di Nola e ne era divenuto docente di eloquenza e letteratura greca e che si spostò poi a Napoli, facendo il precettore ed aprendo una scuola privata, frequentata oltre che da Galiani, anche da Vincenzo Cuoco), al quale Vincenzo fu poi tanto legato. Frequentò naturalmente il congiunto abate Ferdinando Galiani, di cui prese lo spirito acuto e anche sorridente. Vincenzo aveva una natura umanitaria e altruista e così frequentò con altri undici giovani anche la scuola medica del grande medico Domenico Cirillo. Studiò anche giurisprudenza.

Come si vede una personalità di vasta, cultura, di vasti interessi, che si affermava e si distingueva per la luce del suo ingegno, perciò D’Ayala, usa l’epiteto ‘Verità’, ‘testimone di Verità’ per Vincenzo e giustamente nella lapide in piazza qui a San Pietro dell’erede Aurelio del 1920 si usa l’espressione “fiorente d’ingegno”.

Per descrivere cosa fu la Napoli del 1792-1794 ed il ruolo che ebbe Carlo Lauberg e cosa significarono storicamente quei due anni e quei tre Martiri del 1794 (Galiani, De Deo, Vitaliani), facciamo parlare Benedetto Croce, che, come si è detto dedicò uno straordinario saggio proprio a Carlo Lauberg, saggio presente nel libro di sei biografie ‘Vite di avventure di fede e di passione’, edito nel 1936, durato circa 8 anni di ricerche in Italia e all’estero (saggio presente alle pagine 363-437 della ristampa dell’Adelphi di Milano del 1989, curata da Giuseppe Galasso, dalla quale ho ripreso le citazioni).

Ogni vita è così curata da configurare un libro autonomo e dimostra sperimentalmente come si scrivono scientificamente le biografie e non le superficiali e raffazzonate cronache biografiche in giro.

Le 74 pagine della vita di Lauberg (nato a Teano, Terra di Lavoro nel 1762 e morto a Parigi nel 1834) sono divise in sei sezioni: Scolopio e insegnante (1762-1792) – Cospiratore (1792 -1794, la sezione che ci interesserà in relazione a Galiani ) – Farmacista nell’esercito francese e agente rivoluzionario nella Cisalpina e a Venezia (1794-1797) – Oratore politico, giornalista e polemista antireligioso (1797-1798) – Presidente del governo provvisorio della Repubblica napoletana (1799) – Borghese (1799-1834).

Così Croce descrive il clima che si creò a Napoli e nel Regno alla notizie della rivoluzione francese coi suoi principi immortali di Libertà, di Eguaglianza, di Fratellanza delle persone e dei popoli liberi, e delle vicende da essa prodotte e ad essa legate, che si diffusero in ogni più remoto paesello “un bisogno di fare, di partecipare…fremiti di insofferenza e di ribellione, che cercavano un centro intorno al quale raccogliersi, un gruppo di uomini o un uomo da salutare come guida e capo “ (p.373) E questo capo, questa guida fu Carlo Lauberg, che aveva queste singolari virtù così descritte da Croce “dotato di bella e persuasiva eloquenza, temperamento appassionato e carattere risoluto, uomo retto e leale, che sapeva acquistarsi affetto e fiducia, era come nato a far da capo; ed egli fu veramente il personaggio che si levò sugli altri tutti e riunì, ordinò e indirizzò a pratica azione il movimento per la libertà nell’Italia meridionale, il primo di simili movimenti in tutta Italia, e col quale veramente ebbe inizio quel periodo di settant’anni di sforzi sempre ripresi e sempre crescenti, che si chiama il Risorgimento nazionale.”

Di questa personalità storica grande fu allievo e amico Vincenzo Galiani, come lo furono Emanuele De Deo e Vincenzo Vitaliani.

La scuola, l’accademia di Lauberg, da circoli culturali si trasformarono sostanzialmente in circoli politici e furono centinaia gli aderenti appassionati. Essi, come dice Croce formarono “una nuova classe, intellettuale e spirituale, come è sempre quella che fa le rivoluzioni, checchè farnetichino i cosiddetti materialisti storici di classi economiche, di borghesia grassa e magra, di operai e contadini, e di simiglianti astrattezze, che la semplice conoscenza dell’anima umana basta a confutare: dell’anima, come si è detto, presa d’amore per un’idea e dall’amore spinto fino all’eroismo e alla morte.“ (p.374). Qui vediamo descritto il ritratto interiore di Vincenzo Galiani, la sua anima.

Il fervore liberale, democratico fu potenziato dall’arrivo il 16 dicembre dello stesso anno 1792 della flotta francese, comandata dall’ammiraglio La Touche. Tra quelli che salirono sulle navi e vi ebbero colloqui e contatti vi fu anche Galiani.

Nacque la decisione di costituirsi in clubs con una coordinazione, che fu la Società Patriottica Napoletana. E Galiani fu segretario e poi responsabile di uno dei clubs, mettendo a disposizione la sua residenza al Palazzo Castelluccio, alle spalle della Chiesa dei Filippini. Tra i giovani che lo frequentavano si notava già l’ardente avellinese Lorenzo de Concilii, poi protagonista della rivoluzione del 1820.

Tra le varie iniziative promosse da Lauberg vi furono la traduzione e la diffusione in duemila copie della Costituzione francese del 1793.

Ma si ebbero delazioni anche dall’interno del gruppo (Pietro de Falco, secondo il Colletta) e i primi arresti, solo sulla base ad esempio dell’imputazione che i membri della Società erano tornati dalle navi francesi, portando con sé nastri tricolori ed il rosso berretto frigio.

Galiani con altri (tra cui Lauberg) fuggì nello Stato pontificio, ma il papa lo fece arrestare il 25 marzo 1794 con l’amico Filippo di Lustro di Forio d’Ischia e lo consegnò al Borbone assetato di vendetta e di sangue.

Il clima civile e sociale a Napoli era diventato teso, per il timore della diffusione delle idee rivoluzionarie ed anche per l’eruzione del Vesuvio del giugno, che spinse il sovrano a ritirarsi a Sessa (lontano da Napoli e vicino alla Stato del papa).

Il pavido e sanguinario Ferdinando IV lasciò Napoli in balìa della Giunta di Stato, con poteri eccezionali ‘ad modum belli et ad horas’ (senza vera possibilità della difesa cioè e con sentenza inappellabile e immediata) e con un inquisitore crudele, quale il Vanni. La Giunta aveva già deliberato la morte atroce a maggio 1794 del povero Tommaso Amato di Messina (risultato poi malato mentale), per una bestemmia e grida contro il re nella Chiesa del Carmine al Mercato.

In relazione al processo dei membri della ‘Società Patriottica’, la Giunta di Stato sedette a porte chiuse dal 16 settembre al 3 ottobre e solo per formalità nominò alcuni avvocati difensori.

In quel contesto si ebbe il famoso incontro tra De Deo e il padre, raccontato dal Colletta. Il giovane con parole memorabili, degne di Plutarco, rifiutò la grazia, che avrebbe offuscato di viltà tutta la sua vita, ritenendosi poi innocente in relazione alla condanna così estrema.

Non salvarono la vita di Vincenzo né la giovane età (24 anni), né le suppliche della madre e delle sorelle.
Il Vanni pagò dopo la sua infamia con la morte con un colpo di pistola il 22 dicembre 1798, per suicidio secondo alcuni, per assassinio di un certo De Maria, secondo altra versione del 1834.

Galiani fu impiccato a Piazza del Castello, “oggi Piazza Municipio”, dopo il Vitaliani e prima del De Deo, e D’Ayala riferisce che vi fu nella piazza “un tumulto e molti ne morirono per mano dei soldati schierati e di quelli dietro i cancelli della Gran Guardia.” (p.303)

Per le vicende della sua famiglia l’amico martire Vitaliani somiglia a Galiani: ebbe anche lui un suo fratello martire nel 1799, Andrea, impiccato a Piazza Mercato, ed i genitori esuli e proscritti.
I nomi dei tre giovani Martiri della libertà (Vitaliani, Galiani, De Deo) “rimasero come segnacolo di carità cittadina e di amore invincibile alla Patria.” (ibidem).

La feroce persecuzione borbonica contro i Galiani e loro parenti non si fermò a Vincenzo.

Essa fu profonda e costante anche negli anni successivi e si scatenò nel 1799, come emerse dalle liste di proscrizione “ch’io lessi e studiai più e più volte”, come ricorda il D’Ayala. E venne fuori che “furon segnati e andarono profughi, pietoso e crudele spettacolo, undici di questa famiglia Galiani; i genitori che già avevano 63 e 56 anni e cinque figlioli, non comprese le due ultime di appena 13 e 9 anni. Gli ho visti segnati tra quelli giunti a Tolone coi soldati francesi, sussidiati dalla Francia sulla proposta dei cittadini Ciaia e Paribelli. Ed eran morti la Giuseppina nel 1794 per l’amara perdita fatta del fratello e Giacinto, il quale perì gloriosamente combattendo al Ponte della Maddalena nel giugno del 1799 insieme con Luigi Serio, col generale Wirtz, col Paladino, con Diego Fortunato, Fortunato Stabile. “(ibidem).

Furono perseguitati e costretti all’esilio anche i Galiani di Fasano, figli di Pasquale, uno dei quali Giacomo medico e un altro Domenico, ufficiale nel VI battaglione della Guardia cittadina. All’elenco bisogna aggiungere un Arcangelo Giaquinto di Montoro, figliuolo di Francesco e di una Maria Galiani.

Occorre ricordare anche che per le stragi e il saccheggio sanfediste (che accompagnarono e caratterizzarono poi l’avanzata del cardinale Ruffo), Persone di Famiglie legate ai Galiani dovettero subire assassini, atrocità e devastazioni.

Nella frazione di Torchiati, vi era la casa della Famiglia Pepe, imparentata coi Galiani. Una masnada sanfedista capitanata da un Pasquale Grimaldi locale, da un Carpentieri di Penta di Sanseverino e da un certo Costantino detto ‘Papa’, e forse da Vincenzo De Filippis, il 28 gennaio 1799, quando vi fu l’avvento locale della repubblica, andò a mettere fuoco alla casa dei Pepe, trascinò in piazza i due fratelli, Gennaro, che era stato eletto presidente della Municipalità , esimio avvocato, e Tommaso, entrambi senza figli, e il terzo fratello Giosuè, che aveva preso per moglie Giustina Galiani, cugina di Vincenzo, padre di tre giovanetti e di una bambina. Saveria Pepe, madre di Vincenzo Galiani, era anch’ella sorella di Gennaro, Tommaso e Giosuè. Fra tragici scherni e schiamazzi i tre fratelli e un certo Bruni (sicuramente “Bruno”, secondo l’indicazione di Aurelio Galiani) furono trucidati e volevano buttare nel fuoco anche la bimba di appena un anno, di nome Elena, che era ancora viva al tempo di D’Ayala ed era la madre del capitano di cavalleria Liborio Galiani, noto e stimato da D’Ayala, perché l’8 settembre 1860 lasciò l’esercito borbonico in rotta e si presentò a lui per combattere nell’Esercito Meridionale.

D’Ayala, a dimostrazione del suo modo analitico e commovente di lavorare (con l’accurata ricerca e l’analisi di documenti, con la visita di parenti e conoscenti ancora viventi dei Martiri), ricorda che a Torchiati viveva ancora la famiglia Pepe e “l’onorando vecchio di ottanta anni Niccolò, il quale rammenta ancora pieno di vita e di sdegno cittadino quella carneficina del padre suo e dei suoi zii.”(p.304). Nicola Pepe fu patriota, conobbe persecuzione borbonica, fu poeta e pittore, le cui opere sono presenti anche nella cittadina.

I tre fratelli furono posti nella stessa cassa mortuaria e seppelliti nella Cappella gentilizia dentro la chiesa dei frati francescani della Madonna degli Angeli (DA VISITARE ED ONORARE), dove fu sepolto anche il solo fratello che si potè salvare, Francesco Pepe.

La rivolta sanfedista di Montoro di gennaio, che fu così sanguinosamente costellata di eccidi, fu poi repressa con decisione e sagacia da Ettore Carafa ‘Capo della prima legione napoletana’ che così racconta nella sua lettera al Presidente del Governo Provvisorio Ciaia l’accoglienza poi ricevuta “fui accolto dappertutto fra gli evviva della Libertà e della Repubblica. La gioia brillava dappertutto. Una infinità di bandiere tricolori spiegate in tutte le strade del paese ci invitava a solennizzare un giorno di felicità così rimarchevole per quella gente.” La legione ebbe solo due morti e pochi feriti, vide l’eroismo di Clino Roselli. La fedeltà e la devozione repubblicane di Montoro furono un esempio per tutta la Provincia. (come si riporta nel ‘Monitore Napoletano’ del 9 marzo 1799).

Come notizia finale indegna e scandalosa, D’Ayala riporta quella dell’infame amministratore dei beni dei rei di stato, Ferrante, che scrisse ad un figlio o parente del sanfedista assassino Pasquale Grimaldi, di nome Giovanni, affinchè esaudisse le richieste di due creditori dei Galiani, caduti in disgrazia, esuli e lontani, un Giovanni Sammarco e un Pietro Astrini.

Ma essi restarono e restano le stelle polari di una vita sociale e civile degna dell’uomo e dei suoi fondamentali diritti e doveri.

VINCENZO GALIANI VIVE ! E VIVONO CON LUI GLI ALTRI MARTIRI E TESTIMONI RISORGIMENTALI DELLA SUA FAMIGLIA E DELLA NOBILE MONTORO, PROMOTORI E PILASTRI GRANITICI DELLA PATRIA, DELL’ITALIA LIBERA ED UNA, CHE DIFENDEREMO CONTRO I SUOI NEMICI INTERNI ED ESTERNI FINO ALL’ESTREMO SACRIFICIO, NEL CONFORTO E NELLA FORZA DEL LORO ESEMPIO !

(Nicola Terracciano)

All’evento ha preso parte la dott.ssa Anna Poerio autrice, tra altri scritti, di un lavoro su Carlo Poerio “una vita per l’Italia”.

Il dott. Vito Donniacuo, priore della Arciconfraternita del Santissimo Nome di Dio, ha tratteggiato la figura di guida avuta da mia madre e il continuo rapportarsi con lei, intercalando il discorso con dei bei versi in dialetto napoletano.

Chi scrive ha tracciato una panoramica storica della famiglia Galiani, a partire dal 1320, soffermandosi in particolar modo sull’idea della famiglia costituita, nei vari rami, dal ritorno alle origini cristiane come fu per Monsignor Celestino, cappellano maggiore del Regno e per Giuseppe Galiani, vescovo di Sant’Angelo dei Lombardi, e dall’opera per l’indipendenza e progresso della patria che contraddistinse Ferdinando e Vincenzo Galiani.ù

L’iniziativa e il coordinamento dell’evento sono stati opera dalla dott.ssa Elena Picciocchi, che opera nel campo della medicina legale, nipote dei Galiani. In particolare ha ricordato con accorate parole la nonna Anna Pia, proiettando le immagini che scandiscono i vari aspetti della sua vita.

Aurelio Pironti